Benedetta Tobagi, La resistenza delle donne, Einaudi, Torino 2022

« Sai chi sei?

Sai a cosa sei chiamata?

Per cosa vale la pena vivere e morire?

Che cosa è giusto fare?

Rompere con clamore o resistere in silenzio nel quotidiano? Tuffarsi al centro del campo di battaglia o restare ai margini – parete, pilastro, confine, protezione; grembo e custode del dolore degli altri? O entrambe le cose?

Invisibile o sfrontata, mani impeccabili o spellate, sporche d’inchiostro e di farina, mitra in spalla o in casa a dar di pedale sulla macchina da cucire? In quanti modi puoi lottare?

Chi vuoi essere?

Dentro quali sguardi ti muovi?

Sei madre? Ti senti madre?

Potresti uccidere? E dare, invece, la vita? («Dare la vita»: le stesse parole per significare il mettere al mondo qualcuno e l’esser pronta a morire).

Essere donna è avere la guerra dentro, sempre, da sempre.

Cosa farai nei conflitti là fuori?

Come scriverai il tuo nome nel libro grande della storia e della vita? »

C’è un «immaginario gentile ed edulcorato delle ragazze in bicicletta della Resistenza. […] Cosa facessero davvero, le staffette, la gente spesso non lo sa.»

«Ciò che una staffetta deve saper fare:

1. andare in biciletta;

2. assaltare i camions ai posti di blocco;

3. ricordare;

4. tacere;

5. inventare;

6. non desiderare di conoscere più di quanto deve riferire;

7. far la faccia da scema;

8. difendersi dagli importuni;

9. ridere del ghiaccio, della neve, della pioggia, del buio, del coprifuoco;

10. ispirar fiducia anche senza parola d’ordine.

Ciò che una staffetta impara, perché i nostri sono viaggi d’istruzione:

1. tutte le sale d’aspetto delle stazioni del Veneto;

2. le panche meno dure e più riparate delle suddette;

3. la topografia di tutti i giardini pubblici della regione;

4. le chiese sempre aperte;

5. le osterie dove si spende meno;

6. il caratteristico poliziotto in borghese;

7. la differenza tra i tipi P.A., P.C., P.S., D.C., P.L.;

8. il regolamento stradale per i ciclisti;

9. la psicologia, le bugie degli autisti, ed il modo di commuoverli negli indispensabili autostop;

10. a perfezione tutti gli accidenti da lanciar dietro a quelli, quando la lasciano al posto di blocco.» (Ida d’Este)

«Quello delle staffette non solo era un incarico pericoloso, ma richiedeva sangue freddo e grande autonomia di giudizio. Talvolta improvvisano sceneggiate magistrali. Se vengono fermate tremano di paura, piangono, giurano di non sapere proprio nulla, passano i posti di blocco sgranando gli occhioni.

Torna utile essere cresciute in un mondo che chiede loro di essere tutt’al più un gradevole ornamento, mai di primo piano. In quel momento incarnare i più triti stereotipi, dalla madre casta alla femme fatale, è una rivincita sul fascismo, un modo di rivoltargli contro i modelli in cui le hanno ingabbiate, che ora rendono i militari ciechi ai loro inganni.»

Anche successivamente, nonostante il loro grandissimo contributo e il loro impegno, sono i pregiudizi a prevalere: sulle donne partigiane cala il silenzio; se proprio devono essere ricordate, vengono «angelicate» come «martiri» o «virilizzate nelle motivazioni delle [poche] onoreficenze.» «Sono diciannove le donne decorate con la medaglia d’oro per il loro contributo alla Resistenza, di cui solo quattro viventi. Per le istituzioni, insomma, la partigiana migliore è quella morta.»

«Il fascismo è finito, ma il patriarcato è ancora in gran forma.»

“Partigiane” di Teresa Vergalli

“Ma io, a 16 anni, volevo contribuire a cambiare il mondo in cui vivevo, non pensavo ad altro, con le scuole chiuse e il rumore delle bombe in sottofondo.”

“Tra il ‘43 e il ‘44 avevamo organizzato una fittissima rete di donne, che arruolavamo tra le nostre amicizie, pur con la paura che qualcuna parlasse e ci facesse scoprire.”

“Diario partigiano” di Ada Marchesini Prospero Gobetti

“Tutto questo mi faceva paura e, a lungo, in quella notte,  che avrebbe dovuto essere di distensione e di riposo,  mi tormentai, chiedendomi se avrei saputo esser degna di questo avvenire, ricco di difficoltà e di promesse, che m’accingevo ad affrontare con trepidante umiltà.”

Archivio dell’Associazione Partigiani d’Italia: ”Uomini e donne della Resistenza”

“Non v’è donna in Italia che non sappia cosa significherebbe per noi una nuova guerra: significherebbe la distruzione di ciò che a noi è più caro. La causa della pace è la causa di tutti i popoli, e, in primo luogo, di tutte le donne, perché dalla salvaguardia della pace dipende la vita delle nostre famiglie, dipendono le nostre conquiste sociali, civili, politiche. Siamo liete e fiere di mandare un saluto alle donne d’Italia, un saluto alle donne di tutto il mondo e di rinnovare a tutte la promessa di lavorare, anche noi, accanto ad esse, attivamente per la salvaguardia della pace.”